domenica 10 marzo 2019

SCHIACCIA E SPACCA!

Di Luca Oddera

Il prato, immenso come quello di un sogno, si illumina di una luce sbieca che getta ombra su ombra: filo su filo l'erba porge la schiena al sole ed il viso alle tenebre. 
Il vento tiepido e leggero disegna un mare di incanti ed onde lunghe e sagomate attraverso questa terra infinita. 
I fiorellini chinano il capo mesti e risorgono ai raggi del sole ad ogni sospiro di brezza.
La pianta dalle foglie grandi come un tetto ondeggia sinuosa all'alitare dell'aria e si immobilizza come pietra non appena il sole la bacia senza disturbo, pronta ad affrontare la fresca notte.
Lontano, gli alberi maestosi come torri dimenticate fanno da bastioni ai loro milioni di fratelli persi alle loro spalle in un sogno vegetale di nome Foresta.
L'immensa prateria ondulata respira senza sosta, di volta in volta calma e agitata, distesa ed increspata. 
Microscopici uccelli, veloci come il lampo e colorati come l'arcobaleno fanno capolino nei sogni, troppo rapidi e minuti per essere identificati, piccolissime schegge appartenenti ad un altro mondo, visibili solo agli occhi allenati di chi vive di qua e di la allo stesso momento, invisibili all'occhio umano acquoso e lussurioso dell'uomo che ha vista solo per le cose grandi e di colore grigio.
Becchi lunghi come un braccio sono stati montati con sapienza ed arte su volatili che hanno le dimensioni di piccoli uomini. 
Zampe artigliate delle dimensioni di un piede umano immobilizzano il serpente costringendolo a contorsioni inusuali, bloccano il rettile in una presa di morte da brivido ed il grande becco sminuzza in brandelli quell'essere mitologico che distrusse le nostre menti come veleno in polvere.
Tra le alte erbe il ratto delle praterie cerca insetti succulenti e sentieri veloci, tane libere e nidi occupati da uova gustose e nutrienti.
La gazzella rotea le orecchie setose come antenne paraboliche in ascolto del segnale definitivo.
Occhi rapidi, muscoli guizzanti, salti e scarti; lunga vita alla preda.
Il cacciatore notturno riposa all'ombra degli alberi-avanposto, perso in un sogno di sangue e carne dolciastra, in un deliquio di saliva e mandibole, pronto a levarsi allo scendere della sera.
Il grande uccello dalle piume argento ed oro, dal becco d'osso e dalle zampe ramate lascia perdere gli ultimi residui di serpe. Alza la testa disturbato da un rumore, da un suono, da un rombo in avvicinamento.
Una zampa sulla terra ed una sull'asfalto ancora sozza di sangue caldo. 
I piccoli occhi controllano, non trovano niente ed il giovane cervello e l'antico istinto gli dicono:"Lascia perdere ciò che vedi, ascolta ciò che senti".
Il Grande uccello spicca il volo.

Poco più di un metro, niente più che l'abbozzo di un volo maestoso che mai avverrà ma che allo stesso tempo si ripeterà in eterno.
Con il paraurti e la mascherina del Defender, lanciato a centoventi all'ora attraverso il paesaggio, un colpo mortale si abbatte su una bestia grande come un cane, come un maiale, forse come un uomo.
Lo sguardo nello specchietto è laggiù, ormai passato, dimenticato tra un momento, un battere di ali spezzate, uno starnazzare da gallina gigante, una pioggia di candide piume, un collo ritorto. E poi, più niente.

Niente volo, niente vita, niente beccate, niente prateria per mille chilometri.



"Gru coronata"
Mzuzu, North Malawi.




"Vervet monkey"
Da qualche parte in Malawi.





"Strisce"
Nyika N.P. North Malawi.





"Chi osserva chi"
Nyika N.P. North Malawi.


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