sabato 16 marzo 2019

BRUTI, BRUTTI E ABBRUTTITI


La volontà, da parte degli uomini, di essere comandati è talmente forte e radicata che la storia diventa un romanzo che parla di schiavi e padroni, dall'inizio fino a ieri. 
Cambiano i modi di chiamare le persone, i popoli, le classi, ma la sostanza resta intatta. 
Masse di schiavi che lavorano e svariate elite ne godono i benefici. 
Elite composte da persone, il più delle volte più intelligenti o scaltre della media, altre volte da omuncoli capitati per caso al potere. 
Proprio quando l'uomo comune sale al potere, il potere crolla come un castello di carte mal fatto. 

Il potere non esiste, però esistono uomini che lo praticano.

Giorno dopo giorno, guardandoci attorno vediamo in opera il potere, il carisma che emana da alcuni e abbaglia i molti.
Emulazione sfrenata, sottomissione felice.
In questo mondo che ci circonda per non molti chilometri, l'effimera aura carismatica di mediocri principi del pallone, della nota, della parola parlata, dell'abito a la page, del nulla più assoluto, gode di potere illimitato.
"Non so indossare un vestito che non mi sia imposto" dice il cretino, "Non ho orecchio che per la musica che tu, mio dio e signore, non mi propini" urla lo stupido.
"Lo schermo mi da mille opportunità tutte uguali e questo mi aiuta a decidere. Grazie mio signore dei sogni che consegni nelle mie mani, sotto forma di mille itinerari identici, la stessa meta, chiedendomi, ordinandomi, di sceglierne uno.  Grazie perché mi rendi libero" ammicca il deficiente. 
"Tu, mio eroe che prendi a calci le palle degli altri correndo sul verde tappeto che è il mio sogno di rivalsa, grazie che corri e sudi come un toro scatenato, che ti arrabbi per la sconfitta, che esulti per la vittoria, grazie perché io non ne sono capace" piange l'imbecille.
Miti, leggende, miti, leggende, miti, leggende… all'infinito. Oggi uno domani un'altro e quello che resta è niente. 
Uno su un milione lascia traccia nello schema, il resto è invenzione per i troppi corpi che prolificano in terre anguste.
"Dammi un ordine e sarà eseguito, poi, se felice, carezzami la testa ma, per l'amor di dio, non farmi pensare, fai in modo che non debba decidere per me solo, fai in modo che la strada sia tracciata da mano più ferma della mia perché le sbavature le trovo incomprensibili ed astruse." sussurra il demente al suo eroe-padrone.
Miliardi di menti producono un'idea all'anno negli anni prolifici di idee, il resto è mera e subdola sottomissione al potere del "sistema della moltiplicazione dello stesso concetto"
"L'Europa è una tana di talpe" diceva il piccolo signor B. duecento anni prima che l'Europa diventasse l'Europa cerchiostellata.
La tana si è ingigantita a dismisura e come la madre di tutti i formicai si è resa invivibile per l'individuo, ma la moltitudine è cresciuta e si è modellata sull'ambiente che ha trovato e costruito. 
La purga dell'individuo è divenuta la base del benessere comune e nemmeno è accettato parlarne, troppo grande è il potere che regola la massa, troppo importanti e radicati i suoi dettami ed i suoi dogmi per metterli in discussione. 
Considerarsi liberi da certi vincoli, legami, doveri, è peccaminoso come una malattia medievale.
L'eroe degli infiniti cunicoli fa ridere i polli, il bandito assassino è diventato tuttalpiù un bimbo cattivo da rieducare, i capi assoluti sono pagliacci nemmeno tanto ben truccati che governano un gioco che si produce in mirabolanti imprese senza bisogno di loro. 
L'adone si è trasformato in un pollo spennato e unto come un maialino pronto per la cottura. 
La dea della bellezza si è trasformata in una cicogna un pò sovrappeso che cammina su tacchi alti, instabile come un bicchiere senza base e ridicola come un serpente zamputo.
"Cadrai nel fango cicogna, tornerai ad imbellettarti di cipria e ammennicoli puzzolenti caro maialino unto, ma forse non prima che un'immensa esplosione ti mozzi nuovamente la testa."

Troppi cunicoli, intrecciati pochi centimetri l'uno dall'altro, mi fanno sperare che questa immensa vastità duri quel tanto che basta per dare la possibilità alla mia, seppur breve vita, di correre su terre di savana dove calpestare orma umana è più un dovere ed un volere che un obbligo. 

E' proprio tra questi cunicoli angusti che si fa rivedere, facendo capolino, dopo tanto tempo quel soggetto combattuto ed umiliato per millenni.
Il bruto.
Il bruto, la bestia, non è necessariamente violento, anzi spesso maschera con inganni il proprio triste e misero volere. 
Troppo tempo abbiamo ricercato il bruto attraverso i sensi: odore, colore, tatto, voci. 
Il bruto non è altro da noi, e in mezzo a noi, è parte di noi, è lo scarto, il ramo morto, l'errore.
Il bruto esiste, è qui accanto, gli sto parlando ora e nessun impianto morale, nessuna necessità impellente, nessuna presunta superiorità morale mi da il diritto di cominciarne lo sterminio.
Quando arriverà il momento, il perpetuo massacro ricomincerà e non si arresterà fino alla completa distruzione dell'errore. 
E' un processo contro il quale non possiamo e non vogliamo  fare niente.
L'esserino abominevole senza idee e senza sonno, dal corpo di pallina e gli arti smunti si rannicchia sul suo agognato santuario di bellezza in attesa del proprio misero coito, poi si rilassa sulla brandina di seta cotta appena riassestata dalla mamma, confuso ma soddisfatto e si accende una sigaretta senza marca perché nemmeno in questo è capace di scelta.

L'acuminato apice di ragione e sofferenza si rigira nel letto sudato:"dominare o perire?" si domanda l'incerto nuovo insonne, alla luce del bic marrone.
Lasciare, abbandonare, migrare, correre, oppure risolvere, adagiare, combattere con armi morte?

L'uomo ha lasciato che le tremende orde barbariche non entrassero nei suoi confini e non si è accorto, durante la battaglia, che il suo proprio seme generava, nelle tenebre del villaggio, il suo stesso nemico.
Ora al padre tocca sacrificare il figlio in nome del suo stesso potere.
Lo farà.
Non per ora. 
Ma lo farà.
Ma la guerra scenderà sui vinti di un tempo e sui nuovi vincitori ed inietterà malanimo e morte nei cuori dei vicini più vicini.
Ecco che la gloria dell'uomo, si risolve di nuovo in carneficina. 
Ecco che il grande potere dell'uomo, divenuto dissoluto, abbisogna nuovamente di sangue fresco e carne umana per ritrovare la ragion perduta.
Ecco la maledizione del dio che ragiona. 
Oltre la morte, che dà breve durata alle sue carni, la ragione ultima della disperazione, risulta essere l'incapacità di digerire carne umana per troppo lunghi periodi.

La sfida morale del secolo è accettare di essere erbivori in un mondo di carnivori. 

Nemmeno prede capaci di salti miracolosi o scatti brucianti, no, erbivori chiusi nel recinto, neanche buoni per carne e latte, in attesa che le mammelle si avvizziscano ed i peli nelle orecchie incanutiscano.
"Muuuu. Muuu". Urla a bassa voce l'Uomo Mucca. 
Muggisce parole sempre più articolate e sempre più vuote di significato, disquisisce sul colore dei propri zoccoli rispetto a quelli del vicino, tenta di mantenere una linea invidiabile temendo che un certo strato di grasso lo renda appetibile alla belva che si aggira di notte fuori dal recinto. 

"Muuu. Muuu" continua a sbraitare il bovino, di giorno e di notte cercando di accoppiarsi con quello che ritiene il miglior individuo alla sua portata, maschio o femmina che sia.
La fase di accoppiamento, con conseguente sigaretta di paglia successiva, gli annebbia la vista quel tanto che basta per rendere inconsistente la visione del recinto che lo contiene e così, tra una briglia da cavallo ed un pelo da concorso, si dimentica che ruminare è divenuto il suo mestiere dominante, defecare la giusta conseguenza e poi rimangiare ciò che dalle sue feci cresce il giusto compenso
In un ciclo che va verso l'esaurimento.
Mangiare toni e sputare parole, digerire motti e vomitare sentenze, assimilare notizie e sparare conclusioni, utilizzando sempre gli stessi verbi: io e io.
Sentire frasi e riproporre monosillabi, leggere righe e immaginare a quadretti, assorbire dicerie e sudare malanimo, utilizzando sempre gli stessi pronomi: ho e ho.

Una coltellata al mare, una carezza al ceppo, una frase buona alla condensa che scende dall'alto fusto, una lacrima di gioia accelerando lungo l'immensa pianura, sono le poche cose che conosco, l'unica arma da usare contro il misero guardiano di recinti che fa del suo meglio per spiegarmi che anche se il recinto si rompe, è meglio per me non uscire ed anzi cercare di ripararlo.


"Si, grazie, con questi maledetti zoccoli che ho al posto delle mani e che mi impediscono di usare un qualsiasi strumento!?"


di Primo Campos
traduzione dal castigliano di Romina Farias

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