mercoledì 13 marzo 2019

DAL VILLAGGIO ALLA CITTA'


Strani animali si aggirano per i quartieri alti della città. 
Ma ancora più strani, incoerenti e bestiali nei loro comportamenti sono quelli che si aggirano per le vie di tutti i giorni.
Animali che camminano in circolo senza meta, che si nutrono degli avanzi gli uni degli altri, animali pieni di risposte ma senza una sola domanda.
Scambiano foglietti con stracotti, e atteggiamenti studiati e impostati con spruzzate di coda su cassonetti di cristallo illuminati.
Come un lupo famelico e grassottello uno di loro accosta una grande vetrata, annusa l'aria e rimane paralizzato dallo stupore, invaso da un senso di pienezza,inebriato dai colori, l'istinto scatena un mare di ormoni, la sua immaginazione lo veste di scintillanti abiti che lo renderanno forte, attraente e desiderabile come un orso puzzolente e sanguinante di fronte alle sue femmine.
Il lupo ha una borsetta, la apre, conta i foglietti, sorride, oltrepassa lo specchio di cristallo e qualche minuto dopo ne esce soddisfatto, pieno, completo e migliore. Ma, sempre a quattro zampe, riprende il suo cammino circolare.
In mezzo agli animali, spaventati e talvolta inermi si aggira una ridotta moltitudine di esseri superiori, di esseri sconfitti e bistrattati, di esseri che camminano con i loro pensieri a due metri da terra e l'anima in cielo.
Gli esseri bipedi si riducono di numero di giorno in giorno, qualche volta si accucciano e camminano anche loro a quattro zampe, per non attirare l'attenzione, per non essere derisi, per non essere guardati.
Musici, saltimbanchi, scienziati, compositori di pietre, terra, parole, suoni e pensieri. 
Esseri che vivono mischiati non al branco ma al gregge di lupi impecorati di trucchi e tessuti colorati. 
Ovali lamierini avvolgono animali da corsa che troppo raramente si spiaccicano allo scarto successivo.
Diminuiscono di numero, forse solo di proporzione, coloro che, eretti, passeggiano e si spostano sulla terra, sospinti dalle masse milioniche se non miliardiche di bestie mai accecate da luci naturali, mai assordate da suoni di tempesta, mai inebriate da profumi di vento.
Come isole alla deriva vagano nel mare contando qualche volta le onde ma guardando oltre più spesso, per vedere se oltre l'ultima ondata non arrivi per caso un angelo.
Un angelo di saggezza, di giustizia, di perseveranza, di concretezza ed amore. "Spirito della bellezza," dicono di quando in quando, "dove sei finito? Dov'è quell'angelo che con spada e carezza consegnava le anime indegne ad un'indegna vita?"
Ed intanto abbassano il capo per non vedere, curvano la schiena per non essere visti, visitano piccoli pensieri per non essere sentiti.
Ma quando si ergono, quando splendono radiosi su due zampe e lanciano fulmini ed aliti di umanità che coprono i suoni del mondo, allora questi animali bipedi, perdono il loro rango di creature terrene e noi povere bestie, crediamo di vedere dio, di vedere la fine di tutto quello che non possiamo capire. 
"Facci sapere" dice il branco, "facci vedere" urla il gregge, "facci sentire" sospirano le mandrie.
Ed ecco che l'incanto ricomincia, giorno dopo giorno, anno dopo anno, secolo dopo secolo. Una parola un fremito, un gesto un ordine, un pensiero un comandamento. 
"Stupide bestie!"
Eppure, in numero sempre inferiore a quello necessario per sopravvivere, l'anima luminosa, il bipede non più incerto, il signore degli animali, si cela anche in esseri che vivono in misura ridotta, che non agiscono da altalene dell'anima della massa inerte.
La maestra. il dottore, l'avvocato che abbandona la poltrona. 
Il legnaiolo che abbraccia la fede dell'albero, il cacciatore che sente dolore ad ogni sparo ma che non smette, il viaggiatore che lascia le ali agli aerei e cammina leggero lungo le strade di asfalto che fanno da pista alla mandria.
Il povero elettricista che ha capito il significato della luce più del professore che glielo insegnò.
L'oracolo del mattino è sceso dalla duna, è uscito dalla gola e resta eretto dietro un bancone mattutino a distribuire brioche e caffè, ascoltando ed elargendo il suo sapere come se un dono di clemenza lo avesse convinto che l'animale che si abbevera alla tazza di fronte a lui meriti qualcosa di più di quel che sa.
Il martire ha abbandonato la pista polverosa che lo condusse a Damasco ed ha acquisito l'autorità di paroliere vendendo frutta in un mercato di ortaggi biologici. Rimane intonso il suo corpo ma lui stesso flagella e sfracella la sua anima ogni giorno di fronte alla stessa constatazione, al medesimo piccolo sentimento, davanti all'ennesima iniqua piccola cattiveria.
Il martire abbandona l'incomprensibile e spaventosa corona di spine e veste la bustina multicolore impostagli dal ben pensare animalesco che si spaventa giorno dopo giorno del suo stesso immenso numero.
Con grembiule e bustina si lascia crocifiggere giorno dopo giorno su una triste croce fatta di carote, sedani e finocchi, ravanelli e patate. Tutti rigorosamente biologici, biochimici, bio-naturali, dal profumo intenso ed il colore perfetto per aderire a stomaci sempre più intolleranti
La sera, come legge prevede, la croce viene smontata, i chiodi-carota asportati, la bustina bicolore riposta e la strada verso il sonno si colora di sogni lontani.
Ogni mattina, eternamente, carota dopo carota, sedano dopo sedano la croce si ricompone e riemerge dai banchi di frutta.
Colui che non abbandona la via per discendere meramente lungo il fiume, assieme alla corrente,colui che con fatica cerca ancora di compiere tutto il tragitto sulle proprie gambe, colui che caccia con arco e frecce e cucina con una vecchia padella su incrostati fornelli, sa che il premio non esiste, che la ricompensa non arriverà, che alla fine, poco prima che la sua fiamma si spenga, tutto quello che potrà fare, forse, sarà tergere il sudore dalla propria fronte, il sudore di tutta una vita, strizzare lo straccio e stillarne un unica, piccola, timida goccia di umana verità, di significato, che lascerà cadere nella vana, ma importante, speranza che venga colta prima che tocchi terra e venga assorbita dalle secche crepe del fango.
L'ammaestratore di animali è di per se più alto e luminoso del giocatore di pallone, allo stesso modo in cui il lanciatore di martello è più robusto della graziosa modella.
Il saltimbanco si piscia sotto dalle risate quando guarda l'uomo comune contorcersi in una grottesca capriola da ubriaco, ma poi, la sera, di nascosto piange lacrime fredde.
Il venditore di tabacchi non si fa domande mentre quello di birra si chiede ogni giorno se quella che percorre è la strada giusta.
Tutto quello che cresce e si compone come atto di vita pura si snerva poi in filacci di ovatta quando la mandria lo scopre e ne prende in prestito il corpo per farne caricature infinite e grottesche, appiattite e superficiali che tendono a modelli, si trasformano in moda e vengono dimenticate come vecchi giocattoli.
Così il cow-boy si vergogna del cappellaccio, l'esploratore abbandona i suoi portatori, il centurione getta la lorica ed indossa le braghe di tela, il faraone arrotonda e rimpicciolisce la piramide, il paroliere scrive banalità, il suonatore di suoni abbandona la sua arte in favore del rumore, il pennello diventa getto di inchiostro ed il sublime messaggio per orecchie fini si trasforma in un'accozzaglia di rumori adatti ad ogni tipo di udito, adatto, quasi quasi, anche al sordo.

Le farfalle nere perdono colore, allargano le ali e gettano un po di luce sulla leggera tela della zanzariera nell'esatto momento che il piccolo Samuel apre gli occhi al mattino.



di Felix Mutola
traduzione dal portoghese di Hara Cecilia

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