lunedì 11 marzo 2019

CONGO

Il pandemonio satanico che esplodeva ogni qualvolta le genti raggiungevano il punto massimo di sopportazione, lasciava sempre una scia di sangue difficile da cancellare. 
So che due generazioni non bastano a riemergere dalle tenebre primordiali della violenza e della sete di sangue. 
L'odio transgenerazionale che brama la morte dell'altro e la vittoria dell'uguale, riesce ad esplodere inaspettato anche quando l'oggetto della sua ira è scomparso dalla terra.
La paura fa si che, figlio dopo figlio, insegnamento dopo insegnamento, i margini delle ferite restino aperti ed un poco sanguinanti, quel tanto che basta per non smettere di ammalarsi di cattiveria e brutalità.
Su queste strade, ancora macchiate di sangue fresco, sotto asfalti neri che celano membra disperse; passano le macchine degli stranieri.
Gli stranieri non sanno niente. 
Non conoscono l'uso della magia ma nemmeno quello della medicina, perché sono stranieri inutili, sono esseri i quali si disperano per la morte di un gattino ma che voltano la testa alla vista del sangue di un loro fratello. 
Gli stranieri dimenticano in fretta.
Li, su quelle strade, il soldato spara ancora proiettili di piombo diretti al centro nevralgico di vite umane, l'infermiera appena violentata si riveste, si ricompone e torna a bendare ai suoi cadaveri con occhi umidi di terrore e rassegnazione.
Lungo le vie dell'antica guerra i vecchi osservano la morte avanzare a passo di danza e ogni tanto si lasciano sfuggire un sorriso perché capiscono che quella è la loro vita, l'unica che conoscono.
Il furto di un  vecchio acchiappamosche può scatenare una breve ma sanguinosa rivoluzione.
L'incenso si consuma nelle chiese fomentando odi millenari, spingendo l'uomo a scegliere, tra le due opzioni, quella che porta alla morte del corpo.
Le ruote rotolano, i pistoni risucchiano nafta, gli assi girano ed il piede preme.
Il venditore di banane verdi arriccia il naso come se sentisse cattivo odore. Gli uomini che brandiscono spiedi di pezzetti di capra come fossero spadoni tentano di arrestare la corsa mentre sudano per il loro caldo secolare.
Le croci si sprecano, sparse ai quattro venti, mutate dall'originale nella forma, nei colori e forse anche nel significato.
Milioni di fedeli passeggiano attorno all'albero dei manghi, senza alzare troppo i piedi lenti, senza sollevare la testa per guardare il cielo.
Milioni di piedi strisciano sulla terra secca alzando nuvole di polvere che impediscono all'occhio di osservare la terra.
Spianano le colline, riempiono le valli, asciugano i fiumi e spengono i vulcani. Scolorano la foresta e riducono il numero delle bestie. 
Dirimono millenarie liti con il solo scopo di uniformare i contendenti.
Giacca e cravatta diventano un bandiera che fa sudare anche i più coraggiosi, l'auto luccicante resta il simbolo di se stessa, mentre la figura del Grì Grì si addolcisce nello sguardo, si umanizza nelle fattezze e perde peso e potere nei cieli e nella terra.
lo sconto richiesto ogni giorno per continuare a vivere diventa un dogma assoluto mentre l'immensa massa fluisce da tutti e tre i punti cardinali possibili.
Un metro, una scarpa, un consiglio ed ecco che le differenze vanno affievolendosi, si distinguono malapena, perse in un luccichio di tasti e virgolette.
Religioni, usi, costumi e credenze diventano ornamenti sempre più simili a quelli del vicino. 
Nord, est, ovest. 
Le masse spingono, utilizzando sottili stratagemmi, spaventate dal proprio numero e non sospinte dalla fame.
Toc toc. C'è nessuno dall'altra parte della foresta? 
Toc toc. Possiamo entrare?
Permesso? Possiamo entrare?
E' possibile passare dall'altra parte senza rimetterci la vita?
Entrate pure signori.
Grazie ed arrivederci.

Coniglio gigante in cammino verso il sole che scende velocemente.
Lo supero, con un battito di ciglia gli scompiglio il pelo bianco.
Guardo nello specchietto-caleidoscopio e vedo venti conigli più piccoli, dritti e riversi in un tunnel abbacinante che mi inseguono senza la vecchia lentezza.
La macchina dovrebbe essere più veloce del coniglio ma a queste latitudini non si sa mai, quindi accelero gradualmente, senza dare ad intendere che forse scappo, che magari cerco di seminarlo.
Novanta all'ora, qualche minuto distratto, faccio finta di niente, poi guardo nello specchio ed il coniglio, più piccolo di prima, ma moltiplicato (per otto, credo) è ancora lì.
Centodieci all'ora. Il coniglio gigante in frantumi è sempre dietro e non accenna a rallentare.
Centotrenta, centoquaranta, centocinquanta…
Il coniglio non molla.
Rallento, tanto è uguale.
Tento il vecchio trucco dello specchio, con una salvietta umidificata lo sfrego, gli lavo via la polvere.
Niente da fare, l'immagine resta, leggermente più nitida ma sempre presente.
Più avanti un foglio di giornale viene sollevato dal vento, sbatte le ali, si innalza… ma non abbastanza.
Sciach. Una pagina mi si appiccica sul vetro.


"Più di 200 donne violentate in pochi giorni"

"Circa 248 donne sarebbero state stuprate, nella Repubblica democratica del Congo, tra il 10 e il 13 giugno scorso da soldati disertori in fuga, guidati dal colonnello Kifaru, nelle città di Abala, Kanguli e Nakiele, nella provincia del Sud-Kivu, nell’est del Paese. Lo rivelano fonti mediche della zona.
Un infermiere del Centro di sanità di Abala ha dichiarato che 55 donne della zona avrebbero subito violenza tra il 10 e l’11 giugno. Nella stessa notte, 72 donne sarebbero state vittime di stupro a Kanguli, mentre il medico dell’ospedale di Nakiele ha precisato che ben 121 donne della sua città avrebbero dichiarato di essere state violentate nella notte tra l’11 e il 12 giugno, notizia diffusa venerdì 1 luglio dall’Onu.
Per il capo del villaggio di Nakiele, Losema Etamo Ngoma, gli stupri e i saccheggi che li accompagnano sarebbero imputabili a un gruppo di 150 soldati in fuga, a piedi, dal centro militare di Kananda, una città a 64 km a sud di Nakiele. A guidare il gruppo ci sarebbe il colonnello Nyiragire Kulimushi, detto “Kifaru”, un ex-soldato Mai Mai dei “Pareco”, i Patrioti resistenti congolesi.
I Pareco sono stati reintegrati nel 2009, a seguito di un accordo di pace con il governo di Kinshasa. Ma l’accordo prevedeva l’assunzione degli irregolari, i soldi però non sempre arrivano e allora i militari allo sbando decidono di prendersi ciò che ritengono sia loro dovuto.
Lo schema adottato dalla milizia di Kifaru sarebbe sempre identico: il gruppo dei soldati prima circonda i villaggi, poi grida a donne, uomini e bambini di uscire dalle case. A quel punto, iniziano i saccheggi e gli stupri.
Ma il colonnello Vianney Kazarama, portavoce delle Forze armate congolesi nel sud del Kivu, difende il suo collega. Secondo lui, le violenze sarebbero imputabili all’azione congiunta di alcune milizie Mai-Mai ed elementi delle Forze democratiche di liberazione del Ruanda: estremisti hutu fuggiti dal Rwanda dopo il genocidio del 1994. L’ipotesi contraddice però un dato fondamentale che lo stesso Kazarama ha dovuto ammettere: i soldati in fuga nelle boscaglie da tempo si lamentano di non avere nulla da mangiare e da bere.
Nei primi tre mesi del 2010, ben 1244 donne congolesi hanno denunciato di essere state vittime di violenze e abusi: una media di circa 14 stupri al giorno."


"36.000 bambini soldato tornati a casa"

 "La buona notizia è che 36mila bambini-soldato sono stati liberati nellaRepubblica Democratica del Congo negli ultimi dieci anni, quella cattiva è che almeno 6 mila continuano a combattere nelle milizie irregolari. I passi avanti sono stati fatti grazie al «Programma di disarmo, demobilizzazione e reintegrazione» coordinato dall’Onu e dal governo congolese con l’aiuto dell’Unicef, di Amnesty international e di diverse Ong internazionali. Secondo fonti mediche della Cooperazione italiana di Kinshasa che dal ’99 è impegnata nel piano internazionale di liberazione dei minori, «la situazione è molto migliorata ma resta critica». «I reclutamenti forzati continuano, soprattutto nei villaggi della provincia del nord Kivu, e i bambini che tentano di fuggire vengono torturati o uccisi, a volte davanti ad altri bimbi, a titolo dimostrativo», spiega all’Agi Paolo Urbano, responsabile del settore sanitario.
A tre anni di distanza dalla Conferenza di Goma sulla pace, la sicurezza e lo sviluppo nelle Province del Nord e del Sud Kivu, i gruppi armati operativi nelle due province hanno violato l’impegno di interrompere i reclutamenti forzati. L'Italia è impegnata in Congo con un finanziamento di 350mila euro nel 2011. L’Opera Don Bosco di Goma è in prima linea nelle operazioni di assistenza ai piccoli soldati liberati. «Il nostro lavoro – spiega ancora Urbano all’Agi  consiste nel reinserimento sociale e civile dei bambini perchè il reclutamento militare sconvolge la loro esistenza. Cerchiamo di dare loro affetto, punti di riferimento, assistenza medica, istruzione e lavoro».
Secondo le stime dell’ Unicef nel mondo sono almeno 250mila i bambini soldato obbligati a uccidere, torturare e farsi a loro volta uccidere. Hanno un’ età compresa fra gli 8 e i 16 anni. Le varie associazioni umanitarie hanno unito gli sforzi creando unaCoalizione Internazionale per fermare lo scandalo dei bimbi soldato e far rispettare la Convenzione di Ginevra che considera il coinvolgimento dei minorenni un crimine di guerra. La Coalizione presenta ogni 3 o 4 anni un rapporto nel quale fa il punto della situazione.Nell'ultimo, uscito nel 2008, erano ben 63 i paesi dove è consentito l'arruolamento di minori nelle forze armate.  Ma in genere i bambini non sono volontari. Spesso sono ragazzi di strada convinti con la promessa di un tozzo di pane o piccoli rapiti e costretti ad imbracciare un fucile"

Il foglio di giornale vibra, si distacca dal vetro, scorre accartocciandosi e torcendosi lungo la portiera e poi, con uno strappo, torna a librarsi lento nella mia scia.
Il coniglio gigante continua a seguirmi. 
So che se rallentassi lo farebbe anche lui, so che se mi fermassi lo farebbe anche lui, so che se scendessi e gli andassi incontro si infilerebbe nei cespugli.
Gli stradoni dritti del regno di Buganda finiscono la loro corsa e cominciano ad inerpicarsi in curve e strettoie su per le montagne del Toro. 
La strada sale, si contorce, gira, perde asfalto, guadagna polvere e guarda le montagne lontane.
Questa sera sarò lassù, su quelle montagne lontane da tutto il mondo conosciuto, lontane anni luce da ogni cosa che me ne ricordi un'altra.
Il coniglio gigante mi segue e so che riuscirà ad eludere la sorveglianza armata all'ingresso del villaggio, so che poco prima si inoltrerà nella foresta e riuscirà ad eludere i controlli, so che se verrà visto non si farà riconoscere. 
I sorveglianti alla sbarra sono astuti ma il coniglio gigante è sicuramente più astuto di loro.
"Altolà!" gli viene intimato.
Il coniglio gigante si ferma, si siede mesto sulle zampone posteriori, arriccia il naso ed emette un suono di DO. 
Prolungato ma leggero e vibrante.
"Passi pure signor Colonnello, e ci scusi se non l'abbiamo riconosciuta subito. Porti i nostri omaggi alla famiglia"
Il coniglio gigante con berretto militare e stivaloni neri passa oltre e riprende a seguirmi da lontano, a meno che…. 

La valigia non è mai pronta, a partire pare ci sia sempre tempo, una goccia d'ore in più passata qui sembra sempre vada bene, sembra salubre per l'umore, sembra sbagliato lasciare giaciglio, cuscino e cibo.
Sembra ma non è.
Mi bruciano i polmoni, sono le sigarette, si forse,mi bruciano gli occhi, mi brucia il cervello, anzi frigge, dietro, in basso.
Tremila metri, anzi più. 
Sentieri fangosi, lunghi e sinuosi attraverso basse foreste, piantagioni anzi campi di patate a perdita d'occhio. Qui nel centro dell'universo, nell'immutato mondo che dalla preistoria non ha cambiato ne virgole ne punti. 
Una torsione del collo e poi per forza del corpo, una torsione di trecentosessanta gradi, una vista fuori dal mondo, uno sguardo oltre il tempo, un alito di tenebra che scende lungo il petto a ricordare dove si sta'.
Una corona infinita di vulcani circonda tutta la terra visibile, da sud torna a sud dopo un  giro infinito e completo.
Cima dopo cima.
Quattro ore di cammino e gambe molle, tremila duecento metri di altitudine e testa leggera.
Trentadue vulcani che osservano in cerchio questo piccolo punto, quel piccolo punto, questi piccoli punti.
Trentadue santi o demoni, trentadue divini difensori o sante sbarre di prigione verde. 
Il paradiso non è ad un passo ma è qui, questo è certo, ma somiglia così tanto all'inferno che pensi che tutto ciò che ti è stato raccontato sia bugia o abbandono. 
Campi di patate su donne ricurve, bambini su mosche affamate, terra verde smeraldo su cieli blu come occhi di posti molto lontani.
E camminare, camminare sino a salire solo un poco più in su. 
Passo dopo passo quando sei concentrato.
Cento passi alla volta quando la mente prende il volo verso posti lontani che sono gli stessi di questo dove cammini.
Umidità così intensa che pare di nuotare, nebbia e poi la foresta impenetrabile, la foresta che si fa attraversare solo da ridottissimi sentieri che la percorrono come fili abbandonati. Strisce di fango larghe come un piede e non di più.
Insetti grossi tanto da sembrare pelosi e serpenti striscianti immobili ed invisibili.
Il cielo scompare alla vista e resta il verde a sopperire ad ogni colore. Verde di sopra, di sotto, davanti e di dietro, a destra e a sinistra.
Solo la sottile linea di fango marcio e nero lascia spazio all'immaginazione di altri colori che non siano quelli della foglia.
Milioni di insetti giallastri riempiono l'aria dalle cosce in giù, le mani sono madide come tutto il corpo, sudore che cola e nebbia calda che sale dal terreno.
Ancora cento passi per arrivare ad un"ancora cento passi" che ci permette di farne nuovamente cento.
Un grosso schiocco, uno spezzarsi di rami nemmeno tanto piccoli ci avvisa. Siamo vicini a quegli esseri straordinari.
I sentieri labirintici che ci conducono ai loro creatori, di tanto in tanto si deformano in radure di vegetazione pestata e risorgente, dove qualche raggio di sole rammenta alla mente ottenebrata che la speranza di uscire esiste. 
Prigione e santuario, alberi e liane, tronchi e legna marcia sotto al piede.
L'essere monumentale pasteggia spizzicando foglioline di te verde. 
Non osserva i verminosi e acquosi esseri bianchi che arrancano a fatica, impacciati e stralunati verso il suo dominio.
L'orso ingigantito dal tempo, l'umano primordiale ingrigito dallo scorrere rovesciato dei millenni stacca una foglia, la risucchia con le labbra glabre, volta la testa e guarda negli occhi di quelle creature deboli ed oscillanti che si affacciano nella sua verde realtà osservandolo da uno strappo inciso nella coperta verde del mondo che lo circonda sempre, da tempo immemorabile. 
Il pianeta blu è verde come un immenso ramarro e gli abissi di tempo che separano i due sguardi rimandano il ricordo di una Terra marrone e grigia che forse non fu mai.
L'immenso animale si erge sulle gambe posteriori e, dall'alto in basso, lascia che il suo sguardo calmo inondi i poveri corpi rimpiccioliti dei suoi nipoti smarriti più lontani. 
Lo sguardo di una bestia, lo sguardo di un uomo, le mani di un animale, le zampe di un essere umano, il midollo di una belva i gangli di un cristiano, le paure ancestrali di entrambi, il tocco leggero di una mano sulla gamba come filo continuo che unisce una storia talmente lunga e lontana che annienta in un sol colpo Neroni e Cesari, Colombi e Pascià, vichinghi e piramidi.
Tranne te stesso, niente di più primordiale di questo si aggira sulla terra. Niente di più umano può esistere all'infuori di te di questa creatura nera e argento che ti fronteggia con forza e dolcezza. 
Lo scambio impossibile si perpetua per minuti su minuti. 
Il tocco si ripete ma la distanza è si grande che di nostro fratello non rimane traccia alcuna. 
Troppo lontani abbiamo camminato, eretti un tempo, ripiegati ora come fanatici adoni.     
Pazuzu in questo momento non esisteva ancora, qui, il male lascia il posto vuoto, un posto che la vegetazione ricolma in men che non si dica. 
Fu il cacciatore millenario che si trascinò dietro la belva Pazuzu che però qui si sentì per la prima volta inerme, quasi trasparente, privo di forze, inutile come un Dio.
Le zanne ricurve scintillano colpite dal raggio di sole. 
L'osso emerge dal labbro e divora la fronda, l'animale nero discende di nuovo in forma di animale, ricurva la postura, posa quattro zampe al suolo, si gira e si allontana. 
La schiena d'argento come quella di un toro, il capo acuto come quello di un uomo, il sedere come quello di un antico signore.
La belva, cugina dell'ideatore di tutte le sue paure, si allontana indifferente all'ultimo tocco nel quale ha letto solo paura, nel quale ha sentito impreparazione, dal quale ha carpito il segreto non ancora compreso. 
La foresta si richiude alle spalle del gigante inghiottendo lui, la sua famiglia ed il monumentale abisso di tempo infinito che ci divide.
Liane, alberi e vegetazione ricompongono il tessuto del tempo ricreando l'abisso di milioni di anni che scuote le menti di tutti coloro che non hanno la macchina del tempo.
Forza e coraggio, il ritorno è in discesa, il ritorno è sempre in discesa perché è la strada più facile da percorrere, sempre.
La foresta ti smarrisce e impallidisce al punto da farti ritrarre su te stesso fino allo stadio di piccolo lombrico. 
I labirintici sentieri che dovrebbero insegnarti la strada ti tradiscono come amici invidiosi e lasciano che debba essere tu a decidere ad ogni bivio.
Ma poi il muro del passato arriva e per puro caso lo scavalchi ed i campi di patate tornano ad essere lì, percorsi alla rovescia per apparire nuovamente nel verso giusto, terra e cielo ristabiliscono i loro rapporti, donna e patata, bimbo e …..

…. il coniglio gigante è li che aspetta, non ha passato il muro del tempo perché ne conosce le conseguenze. 
Il coniglio gigante non è troppo interessato a se stesso, è più interessato agli altri, però soffrirebbe molto attraversando il grigio muro del tempo. 
Il coniglio gigante sa che se scavalca quel muro la conseguenza sarebbe la sua completa dissoluzione.
Il coniglio gigante non vuole scomparire perché tiene troppo alla conoscenza degli esseri umani e se scomparisse non potrebbe più comprenderci, studiarci, seguirci, migliorarci o peggiorarci a suo uso e consumo.
Il grigio muro del tempo fa soffrire il coniglio gigante perché di la da quel muro succedono cose che lui non sa, di la dal muro accadono eventi che provocano cambiamenti che lui non capisce. 
Di la da quel muro c'è un vasto strappo nella conoscenza che lo lascia a bocca aperta, sbigottito e qualche volta arrabbiato.
Il coniglio gigante, oggi, per la rabbia ha distrutto mezzo campo di patate facendo scappare le donne coltivatrici ed i bambini.
Le donne coltivatrici non vedono di buon grado le persone che scavalcano il muro perché sanno che poi, il più delle volte, il coniglio gigante si sfoga sui loro campi.

Ma noi, noncuranti riprendiamo la strada in discesa, saliamo in macchina e guidiamo dritti e veloci in mezzo a quel posto dove il coniglio gigante capisce l'uomo, ci dirigiamo rapidi verso la Guerra. 

Di Luca Oddera

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